(fine soil of love) on Shuhada Street Paola Caridi
Once again, I commend my thoughts to the great words of Paola Caridi that seems to read my mind. Excellent, as always, from his blog: invisiblearabs.com link: http://invisiblearabs.com/?p=2868 With Massimo Gramellini
Saturday, February 26, 2011
, because his comment today gives the history and individuals at the center of the debate. Gramellini defends the boys of Tahrir, in essence. Many of the comments that have been posted on its Print on the blog, to tell the truth, however clearly show that racism has taken hold in Italy. A vulgar racism, because racism can be only vulgar, with the excuse of "we do not know if the Arabs know how to be democratic" consider the Arabs, in fact, inferior. Unable to think, to reason, to rejoice, to dream, to build their own home. The teaching - in this case, in the case of many of the comments that criticize the thought of Gramellini - should come to us, which we Europeans have done business for decades with autocrats, dictators, emirs and, without asking any problems whatsoever. And it should be, teaching us that Italians in recent years not shine proprio di luce propria, dal punto di vista della democrazia compiuta, dello Stato di diritto e della difesa della divisione dei poteri. Eppure, vogliamo insegnare agli altri la democrazia. Mah.
Comunque, mentre sulla Libia continuiamo a non farci l’esame di coscienza, e non pensare alle nostre colpe di vecchi colonizzatori e colonialisti, il mondo va avanti. E il mondo arabo continua a mostrare tutta la sua insoddisfazione e la sua fame di democrazia. Con i grandi numeri, i numeri di piazza Tahrir, dove ieri sono scesi in piazza centinaia di migliaia di egiziani per chiedere “pulizia”, cioè la fine reale del regime messo in piedi da Hosni Mubarak. In sostanza, chiedendo le dimissioni dell’ultimo governo designato da Mubarak, the one chaired by General Ahmed Shafiq, to \u200b\u200bprevent a creeping counter-revolution. In Amman, important event, also yesterday, and Jordan is a country to keep an eye on, because tensions toward a monarchy that no longer responds to requests for real democracy are higher. And Hebron, Palestinian Khalil. News that may not have read anywhere, and yet which is a small news regardless. Yesterday, about a thousand people demonstrated for the reopening of Shuhda Street, essentially for the reopening of the old town of Khalil / Hebron, more than fifteen years, a ghost town. The capital of the southern West Bank living condition unica. Cuore della Cisgiordania, ha nel suo centro storico una colonia di israeliani radicali che stanno distruggendo la vita quotidiana dei palestinesi che lì vivono. 500 israeliani in una città da 100mila abitanti, collegati alla catena di colonie radicali, da Kiryat Arba in poi. Ebbene, non è un caso che la manifestazione si sia svolta un 25 febbraio, perché il 25 febbraio del 1994 vi fu la più sanguinosa strage, quella compiuta da Baruch Goldstein, colono, dentro la moschea Ibrahimi, la più importante di Palestina dopo quella di Al Aqsa a Gerusalemme. Moschea dedicata a Ibrahim/Abramo, dentro la Tomba dei Patriarchi. Era ramadan, e i fedeli in preghiera furono uccisi dalle sventagliate di mitra di Goldstein. 29 i morti, oltre cento i feriti. Quaranta giorni dopo il massacro di Hebron, Hamas compì il primo attentato terroristico suicida, per la regola dell’occhio per occhio, nell’ultimo giorno del lutto musulmano (per chi ne vuol sapere di più, ne ho parlato nel IV capitolo nel mio libro su , edizioni Feltrinelli). Da allora, Hebron vive in una situazione particolare, i cui simboli sono gli osservatori internazionali del TIPH, l’apertura a singhiozzo della Moschea Ibrahimi (per questioni di sicurezza…) e Shuhada Street. Ieri erano in mille a manifestare, e questo significa che il vento di Tahrir ha anche raggiunto la Palestina. In piccolo, con piccole manifestazioni, ma è a state of mind to be changed. Now, talking on the street, you feel that the guys think now that change is possible. The writer again, is reflected on the possible solution to the conflict. It is right to the east, west and one reasons. An example: what
Yossi Rapoport suggests in his comment on 972mag , site of reflection of the Jewish Israeli peace. Just traded, back to 1967, we report the central issue of Palestinian refugees, if we are talking at the same time the settlers ... You can agree or not, but one thing is clear. Nothing is the same as before. Even here, in Jerusalem.
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